La condivisione fu la mia salvezza. Riuscire a condividere quello che provavo e soprattutto sapere che le persone sapevano mi alleggeriva il cuore. In situazioni familiari simili, la cosa che preoccupa e genera ansia sono gli occhi degli altri, che non sanno e che vedono tua figlia DIVERSA; quegli occhi ti muovono mille emozioni, emozioni non sempre reali. Per evitare di trovarmi in situazioni così emotivamente difficili per me, pensai che solo quello che non si conosce fa paura, e che tante volte le persone sono distanti perché non sanno come fare o come approcciarsi; la società non è preparata e non è educata al diverso, se cosi possiamo definirlo, perché siamo tutti diversi, meravigliosamente diversi. Quindi dovevo essere io ad andare in contro agli altri e farci conoscere. Confrontarsi, per me, voleva dire imparare dagli altri e non chiudermi nel mio dolore, ma anzi condividerlo e condividere anche le gioie. Un dolore condiviso è un dolore dimezzato, così come una gioia condivisa è una gioia moltiplicata. Credere e cercare di trasformare tutto ciò che mi circondava in occasioni di crescita e di opportunità sono sempre state le mie cariche emotive.
Cercai di creare intorno alle mie figlie e alla mia famiglia una rete solida e piena d’amore.
Il primo incontro con Marika fu di intesa. Francesco parlava di cose pratiche, ma lei era di un’altro spessore; non le interessavano quei particolari. Intuii subito che Marika era speciale. Aveva una luce negli occhi che mi trasmetteva grande serietà, ma anche profonda bontà; lei sapeva andare oltre. Ci osservava ed era di poche parole. Ma i suoi occhi parlavano. Aveva capito che la situazione era difficile, che io e Francesco non eravamo in linea, e che le bambine erano bisognose di attenzioni. Insomma una famiglia che aveva bisogno di ordine e tranquillità. Marika era così giovane, ma così ferma, equilibrata, saggia. Sapeva bene cosa era giusto fare, e cosa non era giusto fare nella gestione delle bimbe. Spesso mi sentivo in difficoltà nei suoi confronti; mi dispiaceva farle vivere ciò che in quel periodo si respirava, e si è respirato per tanto tempo a casa nostra. Si sentiva nell’aria tanto dolore e tanto smarrimento, ma lei è sempre stata gentile e premurosa con me e con le bimbe, e quando c erano dei momenti di crisi lei era risolutiva. Il fare è uno dei suoi tanti pregi. In questi anni ne abbiamo passate tante insieme, tante situazioni che l’hanno messa a dura prova; lei non ci ha mai lasciato, non ha mai smesso di crederci insieme a noi. Con lei al mio fianco mi sentivo tranquilla, e sapevo che le mie bimbe stavano bene.
Il primo anno passato con noi a casa, Marika veniva da dopo scuola fino al momento prima della nanna. Quel primo anno lei stava con Nicole ed io con Noemi, anche se spesso facevamo tutto insieme. Iniziavo a tirare qualche respiro, anche se il problema della nanna mi metteva KO. Noemi non dormiva, ma la percezione che avevo era che lei non riuscisse a distinguere il giorno dalla notte; era cosi confusa, e più la guardavo più mi convincevo di questo. Lei aveva difficoltà proprio a lasciarsi andare ad addormentarsi, come se le non le fosse chiaro tutto ciò che si muoveva intorno a lei e il significato di tutto ciò che avveniva. Mi confrontai con Rossella e con la mia dottoressa, e loro mi spiegarono che Noemi necessitava di routine ben definite, di situazioni il piu’ chiare possibili che le dessero il concetto dello scorrere del tempo. Contattai anche la Neuropsichiatra informandola che la situazione della nanna non migliorava. Cosi’ lei decise di aiutare Noemi con un medicinale, un regolatore del sonno. La situazione migliorò ma non del tutto, non bastava. Dovevo capire che non potevo improvvisare cose, avvenimenti o persone; bisognava cercare una routine stabile e certa. La cosa che destabilizzava tanto Noemi non era il cambio dei luoghi, ma l’assenza o la presenza delle persone che la circondavano. Ad esempio: se Francesco una sera non rientrava per lavoro a casa, lei si destabilizzava perchè perdeva la sua routine del rientro del papà; se Marika quel pomeriggio non veniva, o se una delle due educatrici si assentava all’asilo diventava difficile da spiegare. Il canale verbale non funzionava; mi spiegarono invece che il canale visivo, quindi per immagini, era per lei più chiaro, e le facilitava la comprensione. Quindi cercai di capire cosa voleva dire: dovevamo accompagnare sempre il verbale con un immagine, dovevamo parlare per immagini.
Rossella mi parlò del CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa). Detto fatto: mi informai e comprai un programma (SymWriter) che mi permetteva di tradurre in immagini tutte le parole. Tappezzai la casa di immagini, e creammo un calendario visivo con le foto di tutte le persone che conosceva e delle attività che svolgeva divisi per colore; ad ogni colore corrispondeva un giorno della settimana. Rossella mi spiegò anche l’importanza di stimolare Noemi a leggere libri in Caa. Così ogni minuto libero che avevo, anche durate la pausa pranzo a lavoro, creavo e plastificavo libri di personaggi dei cartoni, o anche libri inventati e basati su situazioni che Noemi aveva vissuto. L’abbiamo super stimolata con i libri; la piccolina ha colto subito, e questo l’ha aiutata tantissimo ad iniziare a parlare. A volte per dirmi le cose mi riportava frasi dei libri in situazioni simili a quelle che stava vivendo; iniziava a capire che poteva comunicare utilizzando le parole, e per me era come toccare il cielo con un dito. In quel periodo Rossella ci chiese anche di mettere tutte le cose che Noemi preferiva, e che spesso prendeva in autonomia in casa in posizioni che poteva vederle ma non raggiungerle da sola; ogni qualvolta volesse qualcosa, era costretta a relazionarsi e a chiedere. Era un allenamento continuo.
Iniziava l’asilo ed insieme a Checca arrivava Alessandra. Avevamo ottenuto la copertura totale per le ore di sostegno. Alessandra era un’esplosione di allegria e di normalità. Regalava a Noemi il suo essere bimba nella sua totalità. La combinazione Checca e Alessandra era perfetta. Checca più rigida e ferma, Alessandra allegra e ferma. Alessandra si rese subito disponibile ad entrare in rete con Rossella, e a continuare il progetto che portavamo avanti. La rete si ampliava di persone fantastiche con tanta voglia di fare.
Entrare all’asilo era come entrare in un caldo abbraccio. Enrica e Claudia, le referenti della sezione di Noemi, erano attentissime a me e alla piccola. Ma tutti avevano sguardi accoglienti e dolci per tutti noi: Brunella, Silvia, Paola, Elena, Antonietta e Antonella. Era una sensazione meravigliosa per me sentire, che, chi avevi difronte, era veramente interessato a capire e a voler far parte di quel pezzo di vita insieme. Enrica mi comunicò che avrebbe parlato dell’ingresso di Noemi alla riunione plenaria. Era giusto che tutti sapessero. Condividemmo quel pensiero, ed io ero d’accordissimo. Così pensai: Noemi aveva l’autismo, e tra le sue difficoltà principali c’era la socializzazione; io potevo aiutarla a parlare, a giocare, a fare tutte le cose che mi suggeriva Rossella, ma non potevo sostituirmi agli amici. Dovevo iniziare, fare qualcosa per aiutarla. Condivisi con Enrica e Claudia i miei pensieri ed anche la volontà di parlare alle mamme della sezione di Noemi, per presentarmi e presentare Noemi, e per condividere. Subito accolsero la richiesta e organizzarono degli incontri. Tutti i giorni mi dimostravano la loro voglia di mettersi in discussione e di trovare un modo per creare un vera inclusione per Noemi. L’asilo “spalancò“ le porte a Rossella, che fu per tutti un supporto prezioso. Si stava definendo una rete fantastica intorno a lei: Rossella a capo, Checca, Alessandra, Enrica, Claudia e Marika.
Con le mamme della sezione di Noemi è stato un percorso fatto di tappe di conoscenza, creazione di una fiducia reciproca, e di un alleanza che nel tempo ci ha uniti. Nelle riunioni organizzate da Claudia e Enrica si parlava anche di autismo, di diversità, ed è stato fatto con una dolcezza e con una spontaneità incredibile. Tutti da quelle riunioni uscivamo più ricchi. Parlare e confrontarsi abbatte qualsiasi muro e qualsiasi diffidenza. Parlavamo anche di tante altre problematiche; ascoltare tutte le difficoltà, le difficoltà di tutti mi permetteva di normalizzare anche la mia vita. È stato molto importante per me sentirmi parte del gruppo mamme perchè non mi sentivo sola.
Noemi mi ha insegnato l‘importanza dell’altro e del confronto. A volte si da per scontato il relazionarsi, ma quando manca, quando vedi la difficoltà e l’assenza dell’altro, ti rendi conto quanto i confronti arricchiscano la nostra vita stimolandoci sempre. A Noemi mancava tutto questo; doveva sperimentare e capire che relazionarsi le conveniva perché è bello, è meravigliosamente bello! Doveva riuscire ad andare oltre le sue difficoltà e doveva avere la possibilità di provarci. Io, come mamma dovevo provare, crederci, e riuscire a darle quest’opportunità; oltre anche ad un allenamento constante per lavorare sugli aspetti pratici, per prepararla al come relazionarsi. Aveva bisogno di sentire che tante persone intorno a lei ci credevano, perché la professionalità unita all’amore ed all’affetto riescono ad aprire porte sigillate.
Nella gestione del quotidiano, sempre tra lavoro terapia e tutto il resto, un mio collega mi informò che con la legge 104 avevo diritto a 2 anni di congedo straordinario retribuito totalmente; potevo usufruirne anche in congedi giornalieri. Fu la mia salvezza in quel momento. Non so quante ferie avevo consumato. Così mi tranquillizzai lavorativamente sull’aspetto burocratico, ma ovviamente vivevo sempre con grandi sensi di colpa. Amavo profondamente il mio lavoro, ma non riuscivo a gestire tutto.
Iniziai a chiedere aiuto a Francesco; gli chiesi di accompagnare lui Noemi a psicomotricità. Francesco a sua volta si fece aiutare, e quell’aiuto durò solo qualche mese. Mio marito capiva che la situazione era davvero impegnativa. Per me era importante che lui avesse iniziato ad ascoltarmi e a capirmi. Ma eravamo ancora distanti per riuscire ad ottimizzare tutte le nostre risorse.
Marika mi aiutava tantissimo con Nicole. Sentivo che ero quasi alla fine delle mie energie. In quel periodo bisognava sempre fare, fare, e fare per tenere Noemi PRESENTE. Era attiva se si facevano delle cose finalizzate, quindi se si facevano sempre delle attività; altrimenti metteva in atto delle stereotipie (girava in tondo o parlottava, ed altre comportamenti tipici dei bimbi con l’autismo). Non avevo un sostituto ed ero stanca; voleva dire o rassegnarsi,e vedere Noemi fare cose che non andavano bene, oppure agire sulla stanchezza. Non potevo mai abbassare la guardia. Ho lavorato tanto dalla mia dottoressa per accettare e perdonarmi che a volte non riuscivo; dovevo accettare i miei limiti. Era meraviglioso vederla attiva, ma era anche stancante mentalmente e fisicamente. Le giornate sono lunghe ed anche i week-end, lunghissimi; e per non parlare delle vacanze. In quel periodo avevo il terrore dei giorni di festa, perchè rompevano le routine e dovevamo stare attenti a cosa facevamo. Imparai ed imparammo ad avere sempre un pensiero prima di fare, prima di agire; questo ci aiutò tantissimo. Cercavamo di crederci sempre e di stimolarla in ogni modo; ad esempio trovammo su internet dei suggerimenti per insegnarle ad andare in bici. Le facevamo provare tutto e di tutto, ovviamente rispettando i suoi tempi.
Così passo l’inverno, tra tante elaborazioni e tante trasformazioni dentro e fuori di me.
Rossella ci raccontò che ad Agordo in Luglio si svolgeva un Parent Training, una settimana di supporti familiare. Ci incontrammo con altre 5 famiglie nella nostra medesima situazione. Si svolgevano degli incontri, ed ogni componente familiare faceva il suo percorso. Alla prima sessione dei genitori incrociai tanti occhi, tanti dolori; era durissimo respirare in quella stanza, ognuno aveva la sua storia, e ognuno aveva paura di parlare e di condividere, perchè parlandone tutto diventava poi reale. Due occhi blu mi conquistarono. Due occhi con dentro una storia piena, lunga di cose e di situazioni che facevano fatica a venire fuori. Non ci servirono parole. Lì ci unimmo ed ad oggi è una persona che è sempre nel mio cuore. Sentii tante storie, tante elaborazioni emotive, tante modalità di reagire al dolore e furono momenti di grande riflessione per me ed anche per Francesco: per la prima volta davanti a quelle persone sconosciute Francesco parlò del suo dolore e della sua fatica ad accettare quello che era accaduto, della difficoltà della gestione pratica ed emotiva e soprattutto sentii tutto il suo smarrimento. Parlò anche di noi due e delle nostre velocità diverse nell’approcciarsi alla situazione. Per me fu importante. Capii e sentii quello che sospettavo, quello che avevo intuito. Capii che Francesco stava soffrendo tantissimo, ma non sapevo come aiutarlo. Anche io ero ancora in balia della tempesta proprio come lui.
Mentre partecipavo all’ultima sessione di quel percorso capii che cosa volevo in quel momento…IO VOLEVO FARE LA MAMMA, SOLO LA MAMMA. Volevo fare la mamma di una bimba con dei bisogni diversi, ma volevo fare la mamma! Avevo sentito parlare di tante cose, di tante terapie portate avanti dalle mamme, di mamme che studiavano per aiutare i propri figli; ma io pensavo che Noemi aveva bisogno di me, della sua mamma ed io avevo bisogno di lei, la mia bimba. Avevamo bisogno entrambe di sperimentarci nella normalità perché altrimenti avremmo perso la spontaneità della nostra relazione. Una mamma ha dei compiti ben precisi educativi ed emotivi, ma non terapeutici. Avevo fatto quello che dovevo fino a quel momento. Ero riuscita a creare una buona rete; Noemi era in protezione. Adesso sentivo che dovevo, e volevo fare un passo indietro: permettere alla mia bimba di appropriarsi della sua mamma, una mamma con cui giocare, ridere, divertirsi con spensieratezza, senza che lei sentisse che in ogni mia azione c’era un fine. Così uscì dal centro e scrissi a Rossella; la informai di quanto avevo elaborato, e lei mi rispose che era molto orgogliosa di me. Era la strada giusta.
Mentre rientravamo da Agordo ne parlai con Francesco, ed insieme pensammo a Marika; lei era perfetta. Studiava per diventare educatrice sociale ed aveva la giusta rigidità e preparazione per insegnare a Noemi tutte le autonomie casalinghe. Lei avrebbe seguito Noemi, ed io avrei seguito Noemi come mamma e in più cosi avrei trascorso anche un pò di tempo con Nicole. Lei mi mancava tanto.
Così piano piano si definivano i ruoli di tutti intorno a Noemi: Marika si occupava delle autonomie a casa e del pre-nanna, Checca e Alessandra apprendimenti e socializzazione a scuola, e poi anche Claudia chiese di aver un ruolo ben preciso per Noemi; ci chiese di avere il suo pezzetto con lei all’asilo. Come referente di sezione non voleva che Noemi avesse come riferimento solo Checca e Alessandra, e così chiese di poter fare delle attività con lei e di aiutarla a socializzare in classe. Cosa dire, pochissime avrebbero fatto questa richiesta ma Claudia è speciale. Aveva ragione: un bimbo con disabilità doveva avere le stesse opportunità degli altri, e lei come referente di sezione aveva il suo ruolo con Noemi ed era giusto che lei sperimentasse anche la classe insieme a lei.
Questo completo’ la rete degli aiuti che mi facevano sentire tranquilla, tranquilla che tutto procedesse nel migliore dei modi per permettere a Noemi di crescere serenamente supportata nella sua modalità.
Adesso mancavano gli amici. Era il primo anno di asilo alla Sacro Cuore, e Noemi aveva ancora bisogno di tempo, non era ancora pronta. Ma dentro me nascevano già delle idee su cosa si potesse fare; e mi ripetevo: mai smettere di sognare!
Penso che in questa narrazione ci sia in campo il Super potere della buona comunicazione. Questo blog è scritto bene, si legge volentieri perché racconta efficacemente fatti ed emozioni. Non è da tutti la capacità di saper trasmettere il proprio vissuto. Questa capacità comunicativa è quella che consente di rendere l’ altro partecipe, l’ empatia, il dentro il sentimento. E in molti casi , se questa capacità è messa in atto, viene ricambiata. Il Super potere della buona comunicazione è un meraviglioso passepartout. Queste sono competenze che fanno la differenza quando da soli non si è abbastanza. Penso che alla base non ci sia solo una buona educazione, c’ è la capacità di mettere in campo le proprie emozioni e trasformarle in carburante, non in esplosivo!
Con il procedere di questo racconto continuo a sperare che in molti leggano il blog. La condivisione genere l’ empatia che serve per raggiungere quei traguardi relazionali necessari allo stare bene di tutti, delle famiglie e degli operatori.
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Grazie Elena
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